L’opera monumentale di Dante Alighieri, la “Divina Commedia”, è considerata uno dei capolavori della letteratura mondiale. Scritta tra il 1308 e il 1320, questa epopea poetica è divisa in tre cantiche: Inferno, Purgatorio e Paradiso. Ogni cantica rappresenta un viaggio attraverso uno degli stati dell’aldilà e riflette la concezione medievale del mondo e dell’universo. Ma oltre ad essere un’opera letteraria di inestimabile valore, la “Divina Commedia” è anche un tesoro linguistico per chi studia la lingua italiana. La lingua utilizzata da Dante in quest’opera è un mix di dialetti, latinismi e neologismi, che offre una panoramica unica dell’italiano volgare del XIV secolo.
La Lingua delle Cantiche di Dante
La lingua utilizzata da Dante nella “Divina Commedia” è una forma di italiano volgare, arricchita da elementi latini e dialettali. Questo rende il testo non solo una lettura affascinante dal punto di vista letterario, ma anche un’importante risorsa per chi studia l’evoluzione della lingua italiana.
Il contesto storico e linguistico
Nel periodo in cui Dante scriveva, l’Italia non era ancora unificata e la lingua latina era ancora ampiamente utilizzata nelle opere letterarie e scientifiche. Tuttavia, il volgare stava guadagnando popolarità come lingua letteraria grazie a poeti come Guido Cavalcanti e Francesco Petrarca. Dante, con la “Divina Commedia”, non solo dimostrò che il volgare poteva essere una lingua adatta per la letteratura elevata, ma contribuì anche a stabilire l’italiano volgare come lingua letteraria.
Le caratteristiche linguistiche dell’Inferno
L’Inferno, la prima cantica della “Divina Commedia”, è caratterizzato da un linguaggio crudo e diretto, che riflette la natura tormentata e caotica del luogo. Dante usa spesso termini volgari e dialettali per descrivere i peccatori e le loro pene, creando un contrasto forte con lo stile più elevato delle altre cantiche. Ad esempio, nella terza bolgia dell’ottavo cerchio, Dante utilizza il termine “ruffiani” per descrivere i seduttori, una parola che ha radici nel dialetto toscano.
Il Purgatorio e il linguaggio della speranza
Il Purgatorio, la seconda cantica, è caratterizzato da un linguaggio più sereno e riflessivo. Qui, Dante utilizza un vocabolario più elevato e poetico per descrivere le anime che si purificano dai loro peccati. Il tono è meno duro e più speranzoso rispetto all’Inferno. Un esempio di questo linguaggio elevato si trova nel canto XXIV, dove Dante descrive l’alba come “l’alba vinceva l’ora mattutina / che fuggia innanzi, sì che di lontano / conobbi il tremolar de la marina”. Questo uso del linguaggio poetico e descrittivo crea un’atmosfera di speranza e redenzione.
Il Paradiso e il linguaggio della beatitudine
Il Paradiso, l’ultima cantica, è caratterizzato da un linguaggio ancora più elevato e sublime. Qui, Dante utilizza un vocabolario ricco di termini teologici e filosofici per descrivere la beatitudine delle anime. Il tono è solenne e maestoso, riflettendo la natura divina del luogo. Un esempio di questo linguaggio elevato si trova nel canto XXXIII, dove Dante descrive la visione di Dio: “Ne la sua volontade è nostra pace: / ell’è quel mare al qual tutto si move / ciò ch’ella cria o che natura face”. Questo uso del linguaggio elevato e solenne crea un’atmosfera di pace e beatitudine.
La varietà linguistica e stilistica
Uno degli aspetti più affascinanti della lingua di Dante è la sua capacità di passare da uno stile all’altro con grande maestria. Questo è particolarmente evidente nella “Divina Commedia”, dove Dante utilizza una varietà di registri linguistici per adattarsi ai diversi contesti e personaggi.
Latinismi e neologismi
Dante non esitava a utilizzare termini latini e a creare nuovi neologismi per esprimere concetti complessi. Questo arricchisce il testo e lo rende un’importante risorsa per chi studia l’evoluzione della lingua italiana. Ad esempio, nel canto XXVI dell’Inferno, Dante utilizza il termine “trasumanar” per descrivere l’esperienza di Ulisse nel suo viaggio oltre le colonne d’Ercole. Questo neologismo, che combina il prefisso “tras-” (oltre) con il verbo “umanare” (essere umano), è un esempio della creatività linguistica di Dante.
Dialettalismi
Dante utilizza anche termini dialettali per aggiungere colore e autenticità al suo racconto. Questi termini, spesso presi dal dialetto toscano, arricchiscono il testo e offrono una panoramica unica del parlato dell’epoca. Un esempio di questo è il termine “zanzare”, utilizzato nel canto XVII del Purgatorio per descrivere le zanzare che tormentano le anime: “E come a l’orlo de l’acqua d’un fosso / stanno i ranocchi pur col muso fuori, / sì che celano i piedi e l’altro grosso, / sì stavan d’ogne parte i peccatori; / ma come s’appressava Barbariccia, / così si ritraean sotto i bollori”. Questo termine, che ha radici nel dialetto toscano, aggiunge un tocco di realismo alla scena.
Il contributo di Dante alla lingua italiana
La “Divina Commedia” è un’opera di grande importanza non solo per la sua bellezza letteraria, ma anche per il suo contributo alla lingua italiana. Dante non solo dimostrò che il volgare poteva essere una lingua adatta per la letteratura elevata, ma contribuì anche a stabilire l’italiano volgare come lingua letteraria.
La standardizzazione del volgare
Prima di Dante, il volgare era considerato una lingua inferiore rispetto al latino. Con la “Divina Commedia”, Dante dimostrò che il volgare poteva essere utilizzato per esprimere concetti complessi e per creare opere di grande bellezza letteraria. Questo contribuì a elevare lo status del volgare e a promuoverne l’uso come lingua letteraria. Inoltre, l’opera di Dante contribuì a standardizzare il volgare, stabilendo molte delle regole grammaticali e sintattiche che ancora oggi caratterizzano l’italiano.
La diffusione del volgare
La “Divina Commedia” ebbe un’enorme diffusione in tutta Italia e contribuì a diffondere l’uso del volgare. L’opera fu copiata e letta da persone di tutte le classi sociali, contribuendo a rendere il volgare la lingua comune dell’Italia. Questo processo di diffusione fu ulteriormente accelerato dall’invenzione della stampa nel XV secolo, che permise la produzione di copie più economiche e accessibili dell’opera.
Conclusione
La “Divina Commedia” di Dante Alighieri è un’opera di inestimabile valore non solo per la sua bellezza letteraria, ma anche per il suo contributo alla lingua italiana. La lingua utilizzata da Dante, un mix di dialetti, latinismi e neologismi, offre una panoramica unica dell’italiano volgare del XIV secolo e rappresenta un’importante risorsa per chi studia l’evoluzione della lingua italiana. Attraverso la sua opera, Dante non solo dimostrò che il volgare poteva essere una lingua adatta per la letteratura elevata, ma contribuì anche a stabilire l’italiano volgare come lingua letteraria e a promuoverne l’uso in tutta Italia. La “Divina Commedia” rimane una lettura affascinante e un’importante risorsa per chiunque voglia approfondire la conoscenza della lingua e della cultura italiana.